Affidarsi a Dio per guardare al futuro


Predicazione di domenica 1° luglio 2018 sul testo di Genesi 12,1-4a, a cura del pastore Peter Ciaccio

Il Signore disse ad Abramo: «Va’ via dal tuo paese, dai tuoi parenti e dalla casa di tuo padre, e va’ nel paese che io ti mostrerò; io farò di te una grande nazione, ti benedirò e renderò grande il tuo nome e tu sarai fonte di benedizione. Benedirò quelli che ti benediranno e maledirò chi ti maledirà, e in te saranno benedette tutte le famiglie della terra». Abramo partì, come il Signore gli aveva detto [Genesi 12,1-4a].

La storia di Abramo — come la storia della pesca miracolosa degli apostoli sotto la guida di Gesù, che abbiamo ascoltato nel testo collegato, Luca 5,1-11 — dovrebbe essere per noi fonte di edificazione. Guarda che grandi cose fa il Signore! Guarda cosa succede a chi lo segue! Tuttavia, temo che non sempre questa storia generi in noi edificazione. Temo, anzi, che possiamo percepirla come distante, per diversi motivi.

Un primo motivo è che già la persona di Abramo era diversa da noi: asiatico, caldeo (cioè iracheno, diremmo oggi), nomade, uomo vissuto migliaia di anni fa in una terra molto diversa da quella che è oggi. Un secondo motivo è che probabilmente nessuno di noi può vantare una vita straordinaria come quella di Abramo.

Forse qualcuno ripone molte speranze nella propria discendenza, nei propri figli, nelle proprie figlie. Ma addirittura un popolo? Quanti di noi si aspettano che dai propri figli nasca un popolo? E poi, che popolo! Io mi spaccio per romano, tutti mi dicono che son romano: ma cosa c’è tra me e gli antichi romani, il grande popolo che ha determinato la storia per un millennio? Niente. Il popolo che scaturisce da Abramo è il popolo più antico della terra, sopravvissuto a mille peripezie, pericoli, tentativi di distruzione. Non solo, da Abramo si fanno risalire il Cristianesimo e l’Islam, cioè, la metà circa della popolazione mondiale.

Un terzo motivo di distanza è che non credo che molti tra noi potrebbero alzarsi in piedi, qui davanti a tutti, oppure venire a parlare nella riservatezza del mio ufficio, e dire: «Il Signore mi ha rivolto un messaggio, un messaggio personale, chiaro, sulla mia vita».

E tralasciamo gli apostoli, che da personaggi ordinari, se vogliamo banali, vanno a vivere vite straordinarie: a uno dedicano la chiesa più grande del mondo, a un altro il sentiero più famoso del mondo, e così via… anche il peggiore degli apostoli vince — se mi consentite — la corona del peggiore di tutti!

Tuttavia, sulla distanza o vicinanza ad Abramo e agli altri si determina la nostra vicinanza o meno alla Bibbia. Cos’è la Bibbia? Un libro come un altro, magari meglio di altri, una raccolta di storie? Oppure un libro che parla di me, prima ancora che il libro, la storia della mia vita sia scritta nel tempo?

Siamo sicuri di esser così lontani da Abramo?

Se guardiamo ad Abramo e agli altri, vediamo sì delle persone molto diverse da noi, ma anche molto simili. Si tratta di persone ordinarie, di persone che non hanno nulla di speciale nel loro particolare contesto.

Eppure sono speciali. Perché? Sono speciali perché il Signore si prende cura di loro, perché, anche se nessuno li nota, il Signore li vede, e perché, anche se la vita sembra segnata, il Signore è lì a porre il segno suo.

Ora non voglio esagerare, ma immaginate, anche solo per un istante, che anche noi — come Abramo — potremmo avere una discendenza enorme, maggiore del numero delle stelle visibili. Ma la differenza tra noi e Abramo non è che Abramo ha effettivamente avuto questa discendenza. La differenza è che lui prende consapevolezza della benedizione di Dio.

Abramo non vede concretamente la sua enorme discendenza. Suo nipote vedrà le dodici tribù. Ma siamo noi a vedere la sua enorme discendenza. Abramo, però, la vede uguale. Nel momento in cui prende consapevolezza della benedizione di Dio, capisce che la propria vita ha un senso cui non aveva pensato prima.

Questo senso è sintetizzato dalle prime parole del Signore: «Va’ via dal tuo paese, dai tuoi parenti e dalla casa di tuo padre». Quando noi lasciamo la casa dei nostri genitori, comprendiamo che la nostra vita ha un altro senso. Non siamo più proiettati all’indietro, ma al futuro; non c’è più solo un passato, una tradizione, ma c’è un qualcosa che ancora non esiste, qualcosa da creare, da realizzare, da costruire, qualcosa che prima non c’era, ma che ora potrebbe esserci.

Ora, Abramo non è un ribelle e il suo gesto non lo rende un rivoluzionario né un emulo ante litteram della Beat Generation o dei figli dei fiori. Lasciar la casa del padre, andare altrove rispetto al luogo di origine non è qualcosa di diverso da quello che fanno tutti e tutte quando lasciano la propria famiglia per formarne un’altra. Se leggiamo i versetti precedenti, scopriamo che già il padre di Abramo aveva portato la famiglia sulla strada per Canaan [Tera prese Abramo, suo figlio, e Lot, figlio di Aran, cioè figlio di suo figlio, e Sarai sua nuora, moglie d’Abramo suo figlio, e uscì con loro da Ur dei Caldei per andare nel paese di Canaan. Genesi 11,31]. Il punto non è scappare di casa, fuggire dalla famiglia: il punto è che appartengo al Signore.

Dicevo all’inizio, noi crediamo di non vivere vite straordinarie. Ma ne siamo proprio sicuri? Siamo sicuri che le nostre vite siano ordinarie? Che al posto mio potrebbe vivere qualcun altro e non farebbe alcuna differenza? Non è forse che viviamo vite benedette e non ce ne accorgiamo?

Abramo fece cose importanti e ancora noi ce lo ricordiamo oggi, perché lui prese consapevolezza di appartenere a Dio, che il senso della sua vita era nel Signore, che la sua vita era benedetta. Questo gli ha permesso di costruire, di cambiare la storia in meglio (se vogliamo), di essere una luce, un esempio da ricordare.

Chi invece non riconosce le benedizioni di Dio nella propria vita, che cosa fa? Distrugge, non costruisce. Guardiamo alle guerre tra poveri di oggi. Guardiamo alla guerra che chi povero non è, ma si ritiene tale, oggi dichiara a chi è povero veramente. Guardiamo a quel che è successo nel passato, a chi ricordiamo come coloro i quali hanno spento la luce dell’umanità. Riconoscevano, riconoscono questi di essere benedetti da Dio, di essere importanti per Dio? Probabilmente no. Da lì son sorti i problemi, che poi si sono complicati, fino ad arrivare alla distruzione, alla negazione di una discendenza: l’essere umano che vanifica la benedizione di Dio.

Sorelle e fratelli, riconosciamo la presenza di Dio nella nostra vita, la sua azione nel nostro presente, la sua benedizione sul nostro futuro, anche nei momenti più avversi, anche in quelli più controversi e dolorosi. E vedremo, già ora nella fede, che anche noi potremo alzare la testa come Abramo, guardare le stelle e sognare il sogno di Dio per le nostre esistenze.

Amen.

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