Il Signore Gesù è vivo


Predicazione a cura del pastore Peter Ciaccio per la domenica di Pasqua 21 aprile 2019.

Maria, invece, se ne stava fuori vicino al sepolcro a piangere. Mentre piangeva, si chinò a guardare dentro il sepolcro, ed ecco, vide due angeli, vestiti di bianco, seduti uno a capo e l’altro ai piedi, lì dov’era stato il corpo di Gesù. Ed essi le dissero: «Donna, perché piangi?» Ella rispose loro: «Perché hanno tolto il mio Signore e non so dove l’abbiano deposto». Detto questo, si voltò indietro e vide Gesù in piedi; ma non sapeva che fosse Gesù. Gesù le disse: «Donna, perché piangi? Chi cerchi?» Ella, pensando che fosse l’ortolano, gli disse: «Signore, se tu l’hai portato via, dimmi dove l’hai deposto, e io lo prenderò». Gesù le disse: «Maria!» Ella, voltatasi, gli disse in ebraico: «Rabbunì!» che vuol dire: «Maestro!» Gesù le disse: «Non trattenermi, perché non sono ancora salito al Padre; ma va’ dai miei fratelli, e di’ loro: “Io salgo al Padre mio e Padre vostro, al Dio mio e Dio vostro”». Maria Maddalena andò ad annunciare ai discepoli che aveva visto il Signore, e che egli le aveva detto queste cose. [Giovanni 20,11-18]

Il Signore è risorto. È vivo. È vivente.

Cosa significa? Significa anzitutto che la morte è sconfitta. L’ultimo nemico, come la chiama Paolo, il nemico che non siamo riusciti a sconfiggere e che mai riusciremo a sconfiggere con le nostre forze: la morte è sconfitta.

C’è una maniera in cui noi sconfiggiamo la morte: non pensandoci. Se non ci pensiamo, non esiste. Se vivo come se non ci fosse fine alla vita, nel presente la morte non c’è. Ottima tattica. È come quando una piccola squadra di calcio di Serie C incontra incontra una grande squadra di Serie A: l’unico modo per restare in piedi quei 90 minuti è fare finta che quella squadra non sia più forte.

Così con la morte: facendo finta che non esista restiamo in piedi per diversi anni, poi dobbiamo cambiare tattica. Tutte e tutti noi abbiamo sofferto per la morte di almeno una persona cara: difficile ignorare il nemico. Dobbiamo prenderlo in considerazione e così ci prendiamo cura di noi stessi, della nostra salute. E, come la squadra di Serie C, riusciamo a restare in campo. Ma sappiamo che a un certo punto la partita finisce e noi perderemo.

Ecco perché l’annuncio di Pasqua è fantastico, meraviglioso, sconvolgente, rivoluzionario: perché la sconfitta della morte è definitiva, totale.

Gesù è risorto, Gesù, la Parola di Dio incarnata che era stata annientata sulla Croce, è tornata dal soggiorno dei morti.

E, potremmo dire, ok, però se Gesù era Figlio di Dio o, come dice il dogma della Trinità, è addirittura Dio Figlio, potevamo aspettarcelo. C’è chi casca sempre in piedi. Sì, potrebbe essere un modo di vedere la cosa, ma così non è.

La resurrezione di Gesù Cristo significa vita nuova, rinnovata, non solo per noi, ma anche per Dio. Dio non può più guardare all’umanità come ha fatto prima. Dio ora conosce l’umanità come non aveva conosciuto prima. Prendete i dialoghi tra Dio e Abramo, tra Dio e Mosè: tra le cose che emergono da quegli scambi c’è la totale alterità. Sì, Dio parla con te, Dio è disposto pure a trattare con te, Dio si mette anche d’accordo con te. Ma Dio resta Dio e tu resti tu, come in un normale rapporto tra due individui.

Quanto è difficile capire l’altro? Quanto è difficile l’empatia? Quanto è difficile essere empatici e allo stesso tempo restare se stessi? È come la quadratura del cerchio: ci si può avvicinare, ci si può illudere, ma alla fine è impossibile. In Cristo, Dio compie l’impossibile, il vero grande miracolo. Dio ha vissuto la natura umana in Cristo, nell’intimo, nella carne. Gioie, dolori, desideri, tentazioni, sofferenze, vergogna, rabbia, paura, coraggio, timidezza: tutto, tutto quello che è umano, tutto quello che ci rende umani, Dio ora lo conosce in maniera diversa. Dio l’ha vissuto.

Quanto è umano quel Gesù che sa che l’unico modo per far smettere Maria di piangere non è risorgere, non è presentarsi in carne e ossa davanti a lei, non è il fatto di essere vivo. Gesù sa che deve chiamare Maria per nome. Delle persone che ci hanno lasciato è questo quello che ci manca in definitiva: non la presenza, non i pregi né i difetti, ma il fatto che quella persona, quella voce ci chiami per nome.

Che ci faccio con un Cristo risorto se poi non mi chiama per nome?

La morte è sconfitta, Dio è ancora più vicino a noi, alla nostra realtà: cosa manca?

A questo quadro manca un pezzo, a questo mosaico manca un tassello: la nostra conversione. Dobbiamo cambiare le nostre vite, conformarle al progetto di Dio. Non ci relazioniamo più alla morte, ma a Dio.

Ci relazioniamo a un Dio che ha fatto di tutto per comprenderci fino in fondo, che ha rischiato tutto per rivelarsi a noi, di cui ora sappiamo tutto quello che dobbiamo sapere. Che cosa facciamo?

Anzitutto imparare. Imparare tutto quello che possiamo dalla sua Parola. Studiare, confrontarci sulla Parola, perché caro è costato a Dio rivelarsi a noi. Nei versetti che abbiamo ascoltato vediamo Gesù rivelarsi per primo a Maria. Duemila anni fa, Dio sceglie una donna: cos’hanno fatto i cristiani di questa scelta? L’hanno soprattutto ignorata e Maria Maddalena è una delle donne più vilipese della storia. Questi versetti dicono invece che Maria è l’apostola degli apostoli: è lei ad essere inviata da loro con l’annuncio che permette loro di lasciare la stanza chiusa del cenacolo. Cosa possiamo imparare? Ad esempio riconoscere alle donne pari dignità nella chiesa e nella società.

Maria scambia Gesù per l’ortolano, per il giardiniere. Dettaglio che potrebbe venire da una commedia degli equivoci. E se non fosse invece un errore? Il cimitero, il giardino dei morti, diventa il giardino della vita, il nuovo Eden, di cui Gesù, vero Dio e vero Umano, è il giardiniere, è il custode. Cosa possiamo imparare? Ad esempio, guardare alla creazione e al nostro ambiente, anche a quello costruito dagli esseri umani, con occhi diversi. Le nostre città, la nostra terra, i nostri mari sono il nuovo giardino della vita, di cui Gesù è Signore.

Cambiare le nostre vite, alla luce dell’annuncio pasquale, significa cambiare il nostro sguardo rispetto alle persone e all’ambiente in cui viviamo. Amore per tutte e tutti, amore per le nostre strade, per le nostre piazze, per i luoghi dove possiamo ancora oggi incontrare il Risorto.

Il Signore è risorto. Egli è risorto veramente. Alleluia.

Amen

 

[Nell’immagine: Maria Maddalena annuncia la resurrezione agli apostoli chiusi nel cenacolo, dal Salterio di St. Alban’s, custodito nella Biblioteca di Hildesheim]

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