“Io sono il non-temere”


Predicazione di domenica 21 gennaio 2018 sul testo di Apocalisse 1, 9-18, con riferimento anche al testo di Esodo 3,1-10 (episodio di Mosè e il Pruno Ardente), a cura del pastore Peter Ciaccio.

Io, Giovanni, vostro fratello e vostro compagno nella tribolazione, nel regno e nella costanza in Gesù, ero nell’isola chiamata Patmos a causa della parola di Dio e della testimonianza di Gesù. Fui rapito dallo Spirito nel giorno del Signore, e udii dietro a me una voce potente come il suono di una tromba, che diceva: «Quello che vedi, scrivilo in un libro e mandalo alle sette chiese: a Efeso, a Smirne, a Pergamo, a Tiatiri, a Sardi, a Filadelfia e a Laodicea». Io mi voltai per vedere chi mi stava parlando. Come mi fui voltato, vidi sette candelabri d’oro e, in mezzo ai sette candelabri, uno simile a un figlio d’uomo, vestito con una veste lunga fino ai piedi e cinto di una cintura d’oro all’altezza del petto. Il suo capo e i suoi capelli erano bianchi come lana candida, come neve; i suoi occhi erano come fiamma di fuoco; i suoi piedi erano simili a bronzo incandescente, arroventato in una fornace, e la sua voce era come il fragore di grandi acque. Nella sua mano destra teneva sette stelle; dalla sua bocca usciva una spada a due tagli, affilata, e il suo volto era come il sole quando risplende in tutta la sua forza. Quando lo vidi, caddi ai suoi piedi come morto. Ma egli pose la sua mano destra su di me, dicendo: «Non temere, io sono il primo e l’ultimo, e il vivente. Ero morto, ma ecco sono vivo per i secoli dei secoli, e tengo le chiavi della morte e dell’Ades».[Apocalisse 1,9-18]

Nei testi che abbiamo ascoltato ci troviamo di fronte ad una epifania della divinità, ovvero Dio che non solo si rivela, ma si mostra a uno o più esseri umani. Nelle chiese cristiane la parola Epifania è legata alla relativa festa ed è dunque un po’ addomesticata dal fatto che Dio si mostri in un neonato che giace in una stalla, circondato da una bizzarra compagnia.

In quell’Epifania, però, è già insita una delle caratteristiche del nostro Dio quando sceglie di manifestarsi. Ovvero, non c’è da aver paura. Non c’è da aver paura davanti a un neonato — tranne se è il tuo! —, non c’è da aver paura davanti a un pruno ardente, non c’è da aver paura davanti al Cristo trasfigurato che si manifesta a Giovanni nella visione dell’Apocalisse.

«Non temere», sono le prime parole che Egli pronunzia a Giovanni, che gli era caduto ai piedi come morto. Giovanni è terrorizzato. L’ignoto, l’incomprensibile, l’irrazionale: non ci stupiamo che muoia di paura. Ma Cristo risponde, prima ancora di dire chi è, prima di rivelarsi: «Non temere». Anzi, sembra quasi che queste prime parole di Cristo non siano una semplice introduzione o esortazione prima di andare al sodo, al nocciolo della questione, ma siano parte stessa della rivelazione.

In altre parole, il «non temere» non è — o almeno non lo esclusivamente — una di quelle frasi che viene pronunciata da noi per enfatizzare, per portare all’attenzione quel che stiamo per dire, come “Ascoltami bene” per intenderci, ma è parte della rivelazione.

È come se Cristo dicesse: «Chi sono io? Io sono il non-temere». Non solo «il primo e l’ultimo, e il vivente», non solo «l’alfa e l’omega», ma anche il «non-temere», anzitutto, prima che ti dica il resto, «Io sono il non-temere».

Questa, credo, sia una delle caratteristiche più importanti della nostra fede. A differenza, infatti, di altri credi, Dio non è uno che incute terrore. Il “timor di Dio” di cui parla soprattutto l’Antico Testamento non è “terror di Dio”: è più che altro rispetto, consapevolezza della sua presenza. L’espressione “non hai timor di Dio?” non significa tanto “non hai paura di Dio?”, quanto “ma non hai vergogna?”. Portiamola in un altro contesto. Quando un bambino si comporta male, se noi dicessimo “Non hai paura dei tuoi genitori?” non dovrebbe significare “non hai paura che ti diano botte?”, ma “non ti vergogni?” Nel caso dei genitori, vergogna perché disonori i tuoi genitori, nel caso di Dio perché non rendi il giusto servizio a Dio.

Purtroppo anche nella fede cristiana è passata questa idea di paura. È una paura ancestrale, atavica, legata al fatto che quello che tu non paghi qui, te lo farà pagare Dio. Agli esseri umani si sfugge, ma non a Dio. Dovrebbe essere una paura paralizzante, ovvero che ti paralizza dal comportarti male o che, anzi, ti paralizza perché non sai se ti sei comportato male e nel dubbio sei sicuro di averlo fatto.

Per alcune sensibilità, Dio è un padrone iroso da placare. L’umanità è arrivata addirittura a compiere sacrifici umani o purificazioni — cioè, quando va bene, autoflagellazioni, quando va male, eccidi, stragi. Dio è da placare. Non parlo solo dell’antichità, di popoli che a noi oggi appaiono primitivi. Ancora oggi c’è chi imputa morte e distruzione all’ira di Dio. Anche tra cristiani.

Ma Cristo ci dice: «Io sono il non-temere». Non è sulla paura che si fonda la relazione con Dio. È sulla fiducia che il Signore si occuperà di tutto. Dio non ci fulmina, come uno Zeus qualunque, ovvero Dio non ci fa morire: è Cristo a morire, perché lo ammazziamo noi esseri umani, assumendo a sé la morte. Così da poterci annunciare: «Io sono il non-temere la morte».

Purtroppo la paura è un grande nemico, forse più grande della morte. Tuttavia, mentre la morte non possiamo sconfiggerla, ma solo rimandarla e dobbiamo affidarci a Dio per la sua sconfitta, la paura può essere sconfitta. Noi possiamo sconfiggere la paura. Con l’aiuto di Dio, certo, perché Dio è il “non-temere”, ma possiamo sconfiggere la paura oggi, nella nostra vita.

La paura oggi viene utilizzata da molti. Dai terroristi, che vorrebbero farci vivere nella paura di andare in chiesa o al cinema o al bar. Dai politici, che fanno leva sulla paura per ottenere consenso, quasi loro fossero dei novelli Zeus in grado di fulminare le cause della nostra paura. Ma anche dalle chiese e dalle religioni in particolare.

Quante volte mi tocca ascoltare che “il mondo è un disastro”… e allora vieni in chiesa. Ma scherziamo? Si viene in chiesa per paura? I primi cristiani non andavano in chiesa per paura, ma perché non avevano paura. C’era d’aver paura ad andare in chiesa! La nostra fede si fonda anche sulla sconfitta della paura, sul coraggio, come conseguenza concreta dell’affidarsi a Gesù Cristo.

Dio si manifesta così: io sono il non temere. Se Egli è il nostro Dio, a questa epifania dobbiamo rispondere con coerenza. Possa il Signore infonderci il coraggio necessario per andare avanti, per servire la sua chiesa e il mondo, per amare chi Egli ci comanda di amare. Amen

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