La concordia dei cristiani


Predicazione di domenica 24 giugno 2018 sul testo di I Pietro 3,8-15a, a cura del pastore Peter Ciaccio

Infine, siate tutti concordi, compassionevoli, pieni di amore fraterno, misericordiosi e umili; non rendete male per male, od oltraggio per oltraggio, ma, al contrario, benedite; poiché a questo siete stati chiamati affinché ereditiate la benedizione. Infatti: «Chi vuole amare la vita e vedere giorni felici, trattenga la sua lingua dal male e le sue labbra dal dire il falso; fugga il male e faccia il bene; cerchi la pace e la persegua; perché gli occhi del Signore sono sui giusti e i suoi orecchi sono attenti alle loro preghiere; ma la faccia del Signore è contro quelli che fanno il male». Chi vi farà del male, se siete zelanti nel bene? Se poi doveste soffrire per la giustizia, beati voi! Non vi sgomenti la paura che incutono e non vi agitate; ma glorificate il Cristo come Signore nei vostri cuori [I Pietro 2,8-15a].

“Siate tutti concordi”: potremmo fermare la lettura e l’ascolto di questo testo alla prima esortazione. È un testo pieno di esortazioni, ma già alla prima potremmo fermarci. Come facciamo ad essere concordi? Ci sarà sempre un motivo per discutere, ci sarà sempre un motivo che sia fonte potenziale di conflitto.

Sappiamo bene che non tutti i conflitti possono essere evitati e che anzi alcuni è bene affrontarli. Senza conflitti non avremo le donne pastore, anzi, non avremmo neanche i pastori uomini. Senza conflitti ci sarebbero più poveri nel mondo, la terra e le risorse sarebbero in mano ai pochi ricchi.

Sappiamo anche che un modo per evitare i conflitti o meglio, per affrontarli in maniera civile, è di discutere, di mettere in discussione le questioni. Come si fa ad essere concordi?

Forse dobbiamo rivedere cosa pensiamo della concordia. Quando noi pensiamo alla concordia, immaginiamo la pace, nessuno che litiga, tutti che sono d’accordo. Qui è l’errore: essere concordi non significa essere d’accordo. Concordi significa “di uno stesso cuore”. Altre traduzioni dicono “di un’unica mente”, “di unico spirito”.

Non significa essere d’accordo, non significa che dobbiamo essere d’accordo, per fare un esempio banale, che le panche della chiesa si dispongano in un modo o in un altro. Dobbiamo essere d’un sol cuore, ovvero, non importa se io voglio disporre le panche diversamente da te, ma importa che siamo spinti dallo stesso amore per la comunità.

Essere concordi significa andare oltre il particolare, lo specifico. Significa riconoscere nell’altro la preoccupazione per il bene della chiesa, significa riconoscere nell’altro un fratello, nell’altra una sorella. Se siamo concordi, riusciremo sempre a trovare una soluzione alle divergenze che sorgono tra noi, ma se il nostro cuore non è in sintonia, se ci sono due cuori, allora lì è il problema.

Essere concordi ci permette di essere “compassionevoli, pieni di amore fraterno, misericordiosi e umili”. Questi versetti non sono una lista della spesa di cose da fare, non sono diverse esortazioni, ma è un’unica esortazione. Non si può essere compassionevoli né umili, se non c’è concordia. Se il mio cuore non batte insieme al tuo, a cosa vale la mia misericordia? Sembra misericordia, ma forse è paternalismo, forse è guardarti dall’alto in basso, non è umiltà, ma è superbia. E questo vale anche se la vita mi ha posto in basso rispetto a te. Io ti guardo dal basso e, se non c’è concordia, continuerò a guardarti dal basso e, anzi, c’è il rischio, quasi la certezza, che sviluppi una falsa umiltà, quella di chi si sente migliore di un altro perché non ha.

Quando Lutero lasciò il convento, il luogo delle privazioni, della mortificazione della carne, dell’astinenza da ogni piacere, si dice che egli disse: «Ora lascio il mondo». Il vero mondo, la vera carne, la vera assenza di ogni aspirazione alle cose dello Spirito, per Lutero, era il luogo dove si poteva guardare i più ricchi, i più forti con sufficienza e non con misericordia e umiltà.

C’è una storia di concordia che vorrei raccontarvi stamattina. Riguarda il fondatore del metodismo, il pastore John Wesley. Egli era un pastore anglicano, uno che aveva studiato a Oxford e dunque, potremmo pensare, uno di quelli più lontani dalla nostra sensibilità riformata, uno di quegli anglicani vicini al cattolicesimo. Non era così. Sua madre era una presbiteriana e, si sa, il ruolo delle madri è fondamentale nella formazione di un credente.

Se John Wesley fosse catapultato nei nostri giorni, così, per magia, direttamente dal Settecento, non vedremmo in lui una persona ecumenica, anzi, lo definiremmo un anti-cattolico radicale. Definiva il cattolicesimo “idolatria”, tout court. E chi si è addentrato un po’ nella teologia sa che l’idolatria è il peccato per eccellenza. Wesley riteneva che il cattolicesimo non aiutasse le masse a ritrovare la dignità perduta, quella dignità di figli e figlie di Dio, che la Rivoluzione Industriale aveva oscurato.

Eppure, esiste un carteggio tra Wesley e un prete di Dublino, tra l’inglese protestante e l’irlandese cattolico. Siamo nel Settecento, immaginiamo la distanza siderale tra i due. Alla fine del carteggio, John Wesley scrive: «Se il tuo cuore batte col mio cuore, allora siamo insieme». Una resa.

Ma una resa a chi? Al cattolicesimo, al prete, al papa, al rosario che detestava? No, una resa a Cristo. Si conclude il testo di 1 Pietro: “Glorificate il Cristo come Signore nei vostri cuori”.

Ecco come si fa ad essere concordi, a costruire una concordia. Non mettendoci d’accordo, ma arrendendoci a Cristo. Lasciate spazio a Gesù nei vostri cuori, lasciate che prenda il posto che gli spetta: “glorificate il Cristo come Signore nei vostri cuori”.

Da lì nasce la concordia, l’unione tra i cuori, nonostante la divisione sulle cose, sulle questioni, che sia la disposizione delle panche o l’immagine cosiddetta sacra in chiesa. La concordia nasce dal riconoscere che Cristo è il Signore nei nostri cuori, dentro il mio cuore, dentro il tuo cuore. E vediamo, ancora una volta, come le cose belle, come la misericordia, la bontà, l’umiltà, la concordia, non siano opera nostra, perché siamo più buoni degli altri, ma sia opera di Dio in Gesù Cristo. A Lui sia la gloria in eterno. Amen

 

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