«La mia potenza si dimostra perfetta nella debolezza»


Predicazione di domenica 4 febbraio 2018 sul testo di II Corinzi 12,1-10, a cura del pastore Peter Ciaccio.

Bisogna vantarsi? Non è una cosa buona; tuttavia verrò alle visioni e alle rivelazioni del Signore. Conosco un uomo in Cristo che quattordici anni fa (se fu con il corpo non so, se fu senza il corpo non so, Dio lo sa), fu rapito fino al terzo cielo. So che quell’uomo (se fu con il corpo o senza il corpo non so, Dio lo sa) fu rapito in paradiso, e udì parole ineffabili che non è lecito all’uomo di pronunciare. Di quel tale mi vanterò; ma di me stesso non mi vanterò se non delle mie debolezze. Pur se volessi vantarmi, non sarei un pazzo, perché direi la verità; ma me ne astengo, perché nessuno mi stimi oltre quello che mi vede essere, o sente da me. E perché io non avessi a insuperbire per l’eccellenza delle rivelazioni, mi è stata messa una spina nella carne, un angelo di Satana, per schiaffeggiarmi affinché io non insuperbisca. Tre volte ho pregato il Signore perché l’allontanasse da me; ed egli mi ha detto: «La mia grazia ti basta, perché la mia potenza si dimostra perfetta nella debolezza». Perciò molto volentieri mi vanterò piuttosto delle mie debolezze, affinché la potenza di Cristo riposi su di me. Per questo mi compiaccio in debolezze, in ingiurie, in necessità, in persecuzioni, in angustie per amor di Cristo; perché, quando sono debole, allora sono forte. [II Corinzi 12,1-10]

«La mia grazia ti basta, perché la mia potenza si dimostra perfetta nella debolezza». Domenica scorsa abbiamo avuto ospite su questo pulpito il moderatore della Tavola valdese. Come avviene spesso quando il moderatore viene a trovarti, immagino che alcuni si siano preoccupati, altri addirittura insospettiti. Cosa sarà venuto a fare? L’avrà invitato il Concistoro o si sarà autoinvitato perché doveva comunicare qualcosa al Concistoro?

Preoccupazione sì, mentre il sospetto è fuori luogo. Il moderatore è stato invitato dal Concistoro, quale membro autorevole della nostra Unione di chiese, per discutere insieme della situazione della nostra comunità. La crisi dello scorso anno ecclesiastico che ha portato alla cancellazione di poco più di trenta ghanesi iscritti nei nostri registri, la difficoltà a far fruttare con continuità i nostri appartamenti, la generale situazione economica della nostra città che ricade anche su noi membri di chiesa e, in conseguenza, il calo non tanto delle contribuzioni, quanto delle collette domenicali, stanno mettendo a rischio l’autonomia di questa chiesa.

La perdita dello status dell’autonomia non è infatti solo una possibilità, ma è un’eventuale probabilità. Potrei perdermi nei dettagli di che cosa comporta la perdita dell’autonomia, tediarvi con i regolamenti, con le consuetudini, la storia delle situazioni analoghe degli ultimi vent’anni, ma non lo farò, almeno oggi. Vi riassumo in una frase che cosa significa perdere l’autonomia: certificare la debolezza della nostra chiesa.

Tuttavia, non voglio parlarvi del nostro incontro col moderatore. Non è l’ascolto di una relazione che vi ha condotti in questo luogo, ma il desiderio di ascoltare la Parola del Signore. Ma i versetti che ci propone il nostro lezionario Un giorno una parola sono quelli che abbiamo ascoltato poco fa e non ho potuto fare a meno di pensare quanto la scelta fosse appropriata per questa domenica.

«La mia grazia ti basta, perché la mia potenza si dimostra perfetta nella debolezza». Come vediamo spesso negli studi biblici, cui sarebbe bene aumentare la partecipazione, quando l’apostolo Paolo si rivolge alle chiese che aspettano da lui un’indicazione, un’esortazione, una parola importante, egli cerca di mantenere insieme due aspetti, apparentemente in contraddizione tra loro: Paolo è un’autorità sulla fede cristiana e, allo stesso tempo, Paolo è un fratello come gli altri. In altri termini potremmo dire che Paolo è allo stesso tempo l’uomo forte e l’uomo debole della comunità.

Nella storia abbiamo visto uomini forti che si vendevano per deboli. Ai dittatori del Novecento piaceva farsi ritrarre mentre lavoravano la terra o costruivano muri, pur disprezzando nell’intimo questa tipologia di lavoro. Lo facevano per propaganda, per prendere in giro il popolo che, purtroppo, sembra cascarci sempre. Non è questo il caso di Paolo.

Paolo è forte, perché Paolo parla con autorità, perché la sua storia è importante, i suoi risultati parlano da soli. Paolo è colui che ha rinunciato a un grande potere nella propria comunità di origine, per gettarsi anima e corpo nella missione, viaggiando per il mondo quando non era proprio una passeggiata. E non ha viaggiato per conoscere il mondo, ma per far conoscere al mondo la Buona Notizia di Gesù. Ha fondato chiese in molti posti, ha cambiato la vita di molti, che comprensibilmente guardavano a lui come a un vero e proprio padre spirituale.

Per un pastore, per un predicatore, ma anche per chi è chiamato a governare la chiesa all’interno di un consiglio di chiesa locale, l’esempio di Paolo può essere fonte di frustrazione. Ha fondato chiese dove non c’erano, dal nulla. A distanza di secoli, la maggior parte di quelle chiese è ancora lì e hanno a loro volta determinato la fondazione di altre chiese. Paolo fonda l’ecumene cristiano. Quando ci incontriamo negli incontri ecumenici, non siamo soltanto i battezzati in Cristo che si ritrovano, ma siamo anche tutti figli e figlie di Paolo. Paolo è forte, noi siamo deboli, le nostre chiese sono deboli, i nostri pastori e i nostri anziani sono deboli.

Ma Paolo non fonda la propria missione sulla forza che evidentemente esprime. Ed è per questo che siamo ancora qui. I forti della storia sono stati spazzati via dalla storia. Paolo non è stato spazzato via e le sue chiese sono ancora qui.

Paolo fonda la propria missione sulla propria debolezza. Ora, forse non tutti sanno che ci sono persone oggi, filosofi, pensatori, che danno un grande valore alla debolezza, al cosiddetto “pensiero debole” in opposizione al “pensiero forte”, ovvero alle conclusioni più logiche di un pensiero razionale. Ecco, non è di questo che parla Paolo.

Paolo non è un “debolista”, anzi! È un maestro del ragionamento. La logica, la speculazione filosofica sono il suo pane quotidiano. Paolo non parla di particolarità dottrinali qui. Parla del succo della vita cristiana, di tutti i cristiani, non solo di quelli particolarmente istruiti.

Paolo dice che non si può fondare la propria vita cristiana sulla forza, neanche sull’affermazione di aver incontrato Dio nella propria vita. Quanti predicatori hanno creato regni di potere e di terrore sul presupposto di avere un filo diretto con Dio? Troppi.

Aver incontrato Dio, quand’anche Dio ti abbia rialzato da una condizione di sottoposto, di oppressione, non è motivo per innalzarti sugli altri, sui tuoi simili. No, è invece motivo per metterti alla pari con gli altri, perché tutti siamo deboli e la nostra forza è nella consapevolezza di questa debolezza.

«La mia grazia ti basta, perché la mia potenza si dimostra perfetta nella debolezza». La potenza di Dio si dimostra perfetta nella debolezza, perché la mia forza può farmi pensare a quanto sia bravi io, a quanto sia potente io, a quanto sia superiore io… io, io, io e non Dio, Dio, Dio. Nella debolezza, nella consapevolezza di questa debolezza, noi scopriamo la potenza di Dio, un Dio che non ci rende deboli, non ci lascia deboli, ma che ci dona la forza, la forza di andare avanti, di lottare, di affrontare le difficoltà e le preoccupazioni con fiducia.

Questo è un sentimento che abbiamo quando noi o un nostro caro sta male: la fiducia totale in Dio che ci permette di continuare a lottare. Lo stesso vale per lo stato di salute della nostra comunità: abbiamo fiducia in Dio, nella sua potenza, nella sua grazia e non nella nostra forza, nel nostro merito, e supereremo i momenti di difficoltà che stiamo passando.

«La mia grazia ti basta, perché la mia potenza si dimostra perfetta nella debolezza».

Amen

 

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