Predicazione di domenica 14 gennaio 2018


Predicazione di domenica 14 gennaio 2018 sul testo di I Corinzi 2,1-10 a cura del pastore Peter Ciaccio.

E io, fratelli, quando venni da voi, non venni ad annunciarvi la testimonianza di Dio con eccellenza di parola o di sapienza; poiché mi proposi di non sapere altro fra voi, fuorché Gesù Cristo e lui crocifisso. Io sono stato presso di voi con debolezza, con timore e con gran tremore; la mia parola e la mia predicazione non consistettero in discorsi persuasivi di sapienza umana, ma in dimostrazione di Spirito e di potenza, affinché la vostra fede fosse fondata non sulla sapienza umana, ma sulla potenza di Dio. Tuttavia, a quelli tra di voi che sono maturi esponiamo una sapienza, però non una sapienza di questo mondo né dei dominatori di questo mondo, i quali stanno per essere annientati; ma esponiamo la sapienza di Dio misteriosa e nascosta, che Dio aveva prima dei secoli predestinata a nostra gloria e che nessuno dei dominatori di questo mondo ha conosciuta; perché, se l’avessero conosciuta, non avrebbero crocifisso il Signore della gloria. Ma com’è scritto: «Le cose che occhio non vide, e che orecchio non udì, e che mai salirono nel cuore dell’uomo, sono quelle che Dio ha preparate per coloro che lo amano». A noi Dio le ha rivelate per mezzo dello Spirito, perché lo Spirito scruta ogni cosa, anche le profondità di Dio.

Quando noi protestanti ci avviciniamo alla Parola facciamo in modo di arrivarci un minimo preparati. Mandiamo, quando va bene, i bambini alla scuola domenicale. Crescono e li mandiamo al catechismo. Poi qualche libro Claudiana, un po’ di studio biblico. Qualcuno prosegue l’approfondimento, magari in vista di predicare la Parola. Tutto questo sempre che vada bene. Senza mezzi termini, non approfondire lo studio delle Scritture non è una scelta saggia.

A cosa porta questo percorso? Porta al fatto che, rispetto ad altri, ci sentiamo più a nostro agio quando si parla di Bibbia. Non voglio assolutamente fare della facile ironia sugli “altri”, indicare gli “altri” come il problema o come qualcuno peggio di “noi”: sapete che da questo pulpito non si tuona contro gli “altri”, ma si cerca di capire insieme cosa il Signore vuole dire a noi.

Faccio un esempio quando dico che ci sentiamo più a nostro agio quando si parla di Bibbia rispetto ad altri. Quante volte mi viene riferito che al quiz televisivo della fascia preserale qualcuno ha detto che Gesù era nato in un albergo e non in una stalla, che Mosè e non Giovanni era il cugino di Gesù o che Gesù era nato a Roma perché c’è il papa. Questo è l’agio di cui parlo. Qualcosa ne so. Ho quei due/tre punti di riferimento che mi permettono di orientarmi in un testo di media difficoltà.

Poi ci troviamo di fronte a un testo come questo e tutta la nostra prevenuta serenità viene meno. Avere studiato, saperne di più, avere approndito, può aiutare te e solo te. Forse. Non ti aiuterà certo a credere di più né ad annunciare l’Evangelo con efficacia.

«Non venni ad annunciarvi la testimonianza di Dio con eccellenza di parola o di sapienza». Shock!

Ora non possiamo derubricare queste parole a discorso anticulturale. Paolo era l’incarnazione del meglio della cultura del suo tempo. Paolo era maestro della Legge e fine conoscitore della cultura ellenica, della filosofia del tempo, della lingua greca. Paolo non ha paura di prendere la parola nell’Aeropago e di rivolgersi alle persone più dotte. Allo stesso tempo, Paolo riesce a farsi comprendere alle persone più semplici e meno istruite. Paolo è in grado di farsi giudeo coi giudei e greco coi greci. Tutte cose che denotano una grande cultura.

Per quanto la sua conversione sia stata drammatica e radicale, Paolo non poteva buttare decenni di studio, di formazione, di perfezionamento. Anzi, li mette al servizio della nuova missione.

Ma allora cosa dice in questi versetti? Dice che la cultura non si butta, ma il suo ruolo deve essere ben compreso. L’invito, l’esortazione di Paolo è di non fare della cultura, della sapienza, della conoscenza, un idolo. Non sono le tue parole, non è la tua scelta ponderata di parole a operare la conversione a Dio. In ultima analisi, non sei tu a convertire, a comunicare con efficacia la presenza di Dio tra di noi: è Dio stesso.

Questo è un passaggio importantissimo, seppur non tra i più letti, delle Scritture. Molte delle violenze perpetrate da chi portava il nome di Cristo derivano dal non aver considerato rettamente questa esortazione.

Questa settimana inizia la Settimana di preghiera per l’unità dei cristiani, aperta dalla Giornata del dialogo ebraico-cristiano. Per una coincidenza del calendario, al termine della settimana prossima ci sarà la Giornata della Memoria. Quando ci capita di leggere le parole del nostro caro Lutero sugli ebrei ci si accappona la pelle. Come fa il nostro caro Lutero a dire quelle bestialità? Io me la sono sempre spiegata così. Lutero era convinto che gli ebrei non credessero in Gesù perché la Chiesa di Roma glielo raccontava male. Me lo immagino Lutero che scardina e spurga l’impianto romano. Mi piace pensare a Lutero come a un Michelangelo che vedeva il pezzo di marmo e ne liberava la statua che il pezzo di marmo conteneva — nella sua testa, ovviamente. Lutero vede l’Evangelo e lo libera da ciò che, a suo e nostro parere, lo offuscava. Allora, Lutero, che teneva in gran conto gli ebrei — basti pensare che il nostro Antico Testamento coincide con la Bibbia ebraica —, probabilmente pensò: ora che ho liberato l’Evangelo, anche gli ebrei crederanno in Gesù. E invece non andò così e Lutero colpevolizzò gli ebrei, ricadendo nel cliché della loro supposta “ostinazione”, esattamente come li definiva la chiesa di Roma.

Invece la colpa era sua e nel suo narcisismo egocentrico. Sì, anche Lutero, anche i migliori dei nostri sbagliano… e, tra parentesi, ecco perché mi piace il Protestantesimo.

Non dipende da come lo dici. Non dipende dalla tua cultura, dalla tua cura, dalle parole che scegli. Non dipende da te. La tua cultura ti aiuta a metterti in contatto con gli altri, a parlare con tutti, ma a operare la conversione ci pensa solo ed esclusivamente lo Spirito di Dio.

Dice Paolo: «Io sono stato presso di voi con debolezza, con timore e con gran tremore; la mia parola e la mia predicazione non consistettero in discorsi persuasivi di sapienza umana, ma in dimostrazione di Spirito e di potenza, affinché la vostra fede fosse fondata non sulla sapienza umana, ma sulla potenza di Dio».

Non dunque la sapienza umana, ma quella di Dio. Su questo si fondi la nostra fede. Spesso mi capita di parlare con chi non viene in chiesa e non è un caso che mi parla in termini di sapienza umana. Spesso sono persone che credono in Dio, ma si accontentano di questo. In effetti, se tu credi in Dio, se Dio è per te, se Gesù ha fatto tutto per te, se lo Spirito ti accompagna, a che serve venire in chiesa? Logico, non serve a niente.

Ecco che entra in scena la sapienza di Dio: proprio quello che per la tua logica non serve a niente, in realtà è fondamentale, è la base. È molto più importante una preghiera che la spiegazione di un testo biblico. È molto più importante stare insieme ai fratelli e alle sorelle, che aver capito tutto della Bibbia e della dottrina. C’è un momento che mi commuove sempre del culto ed è il momento della Cena del Signore. Perché c’è la fila? Perché ovunque nel mondo, nei secoli, nelle generazioni, milioni di persone si alzano all’invito di avvicinarsi alla mensa di Gesù? C’è bisogno? Cristo non ci salva lo stesso? Ecco, lì dove la logica umana si ferma, subentra la logica di Dio. Quella conta. Su quello si fonda la fede.

Pertanto, sorelle e fratelli, studiamo, veniamo allo studio, leggiamo, confrontiamoci sui contenuti. Ma la fede è altra cosa: è vivere la presenza di Dio nelle nostre vite. Possiamo farlo solo se mettiamo al posto giusto il nostro io e ci affidiamo totalmente a Dio. Amen

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