Sermone del 6 Marzo 2016 4


“Benedetto sia il Dio e Padre del nostro Signore Gesù Cristo, il quale ci consola in ogni nostra afflizione, affinché, mediante la consolazione con la quale siamo noi stessi da Dio consolati, possiamo consolare quelli che si trovano in qualunque afflizione; perché, come abbondano in noi le sofferenze di Cristo, così, per mezzo di Cristo, abbonda anche la nostra consolazione. Perciò se siamo afflitti, è per la vostra consolazione e salvezza; se siamo consolati, è per la vostra consolazione, la quale opera efficacemente nel farvi capaci di sopportare le stesse sofferenze che anche noi sopportiamo. La nostra speranza nei vostri riguardi è salda, sapendo che, come siete partecipi delle sofferenze, siete anche partecipi della consolazione”. (2 Corinzi 1, 3-7)

Perché facciamo parte di una chiesa cristiana, di una comunità di fratelli e sorelle, come la nostra? Perché come credenti evangelici ci riuniamo insieme? Perché passiamo una parte del nostro tempo nella comunità, anziché in qualche altro ambiente? Perché riteniamo di doverci incontrare tra di noi, e non solo la domenica, magari tralasciando altre attività? Certamente perché siamo uniti dalla stessa fede in Dio e in Cristo; certamente perché sentiamo il bisogno di ascoltare la predicazione della Parola di Dio; certamente perché ci sentiamo chiamati a un medesimo compito che è quello della proclamazione dell’evangelo di Cristo; certamente perché ci riconosciamo in una medesima storia di fede e di testimonianza, perché condividiamo una medesima visione della vita e del mondo; certamente perché ci conosciamo tra di noi e stiamo bene insieme, perché per noi lo stare insieme è fonte di gioia e di benessere, secondo le parole del salmo 133: quant’è buono e quant’è piacevole che i fratelli vivano insieme.

Sono tanti i motivi per i quali noi stiamo insieme, per i quali nonostante tutto continuiamo a stare insieme, anche se dobbiamo riconoscere che ciò non accade più come una volta, quando si conduceva una vita diversa, più sobria, più tranquilla, volta più all’unione, alla fraternità, all’amicizia che non alla semplice conoscenza, e non si era presi da troppi interessi, distratti da troppe attrazioni, storditi e disorientati dalla congerie di sollecitazioni visive e uditive dei mezzi di comunicazione di massa. Comunque sia, nel brano che stiamo meditando l’apostolo Paolo ci mette di fronte a un altro motivo al quale forse non pensiamo abbastanza, di fronte a un motivo fondamentale che è costituito dalla necessità della consolazione reciproca.

L’apostolo Paolo ci parla di una consolazione particolare, che lui stesso ha sperimentato e che anche ognuno di noi può dare agli altri perché l’ha ricevuta direttamente da Dio, “il quale ci consola in ogni nostra afflizione, affinché, mediante la consolazione con la quale siamo noi stessi consolati, possiamo consolare quelli che si trovano in qualunque afflizione”. Noi, dunque, possiamo consolare i nostri fratelli e le nostre sorelle perché siamo stati consolati da Dio e perciò possiamo comunicare a chi soffre non solo parole e gesti di compassione, ma anche e soprattutto la nostra esperienza di consolazione, cioè possiamo suscitare la speranza e la fiducia in chi soffre rendendolo partecipe della consapevolezza che noi abbiamo di essere destinatari della grazia di Dio.

La consolazione sta al centro del messaggio di tutta la Bibbia. E ciò possiamo constatarlo, oltre che nelle parole del brano che stiamo meditando, anche nelle parole del profeta Isaia, in cui Dio è presentato come consolatore del suo popolo: “Io, io sono colui che vi consola”, e ancora: “Il Signore consola il suo popolo e ha pietà dei suoi afflitti”. Nel salmo 23 è detto, con parole rivolte a Dio, che tutti conosciamo: “Quand’anche camminassi nella valle dell’ombra della morte, io non temerei alcun male, perché tu sei con me; il tuo bastone e la tua verga sono quelli che mi consolano”. Inoltre, nel vangelo di Luca Gesù è annunziato come “la consolazione d’Israele” attesa dal vecchio Simeone, e nel vangelo di Giovanni lo Spirito Santo promesso da Gesù è chiamato “il Consolatore”, perché l’opera che Dio compie per mezzo del suo Spirito è anche essenzialmente un’opera di consolazione. Infine, nella prima lettera ai Tessalonicesi l’apostolo Paolo così esorta i fratelli: “Perciò, consolatevi a vicenda ed edificatevi gli uni gli altri, come d’altronde già fate”.

La comunità dei credenti in Gesù Cristo è il luogo in cui la consolazione non solo è possibile, ma è anche necessaria, perché proprio per mezzo della consolazione reciproca si manifesta la fraternità, l’amore fraterno. La consolazione infatti ci fa stare vicino a chi soffre, e parlare con lui e ascoltarlo e aiutarlo a sopportare meglio la sua sofferenza. La consolazione fa sì che chi soffre intraveda una luce in fondo al tunnel della sua sofferenza, fa sì che chi soffre percepisca una ragione di resistenza alla disperazione, fa sì che in chi soffre non venga meno la fede e non sorga la tentazione di rinchiudersi nella solitudine del suo dolore e abbandonare la comunione fraterna, fa sì che chi soffre riacquisti il suo equilibrio, la sua serenità e la sua voglia di vivere.

Tuttavia dobbiamo confessare che non è facile per noi consolare chi soffre, e talvolta, come gli amici di Giobbe, rischiamo di essere dei “consolatori molesti” che non riescono a consolare chi soffre, ma solo a infastidirlo. Altre volte non riusciamo a consolare perché siamo noi a star male, a soffrire per una ragione qualsiasi, e allora ci disinteressiamo degli altri. Altre volte ancora non riusciamo a farlo perché siamo esitanti e non ci riteniamo capaci di operare efficacemente. In tutti questi casi però dimentichiamo che in realtà non siamo noi a consolare, ma è Dio il quale dopo il tempo della prova viene a rincuorarci e a rinvigorire la nostra esistenza.

Se teniamo presente questo particolare importante: cioè, che è Dio il vero consolatore e noi siamo solo suoi strumenti, allora possiamo consolare i fratelli e le sorelle che si trovano nella sofferenza sia fisica che morale e spirituale. Possiamo farlo non solo aiutandoli, se è necessario, materialmente con la nostra vicinanza, con la nostra sollecitudine e con la nostra disponibilità al servizio, ma anche “mediante la consolazione delle Scritture”, leggendo loro un salmo o un insegnamento o un’esortazione, soprattutto presentando loro l’esempio di Gesù Cristo, il quale ha sofferto per tutti noi fino alla morte sulla croce e per mezzo del quale Dio “ci ha dato per la sua grazia una consolazione eterna”.

Nella nostra epoca più che mai è indispensabile la consolazione, proprio perché sono tante, troppe, le condizioni di sofferenza che si presentano nella nostra esistenza. Ci sono sofferenze di grandi proporzioni che riguardano intere popolazioni, di cui veniamo a conoscenza attraverso le notizie dei giornali o le scene di violenza e di sangue diffuse dalla televisione: centinaia di migliaia di persone, uomini donne e bambini, che sono perseguitate e oppresse, che sono costrette a lasciare le loro case e il loro paese a causa della fame o della guerra e che spesso finiscono per morire annegate in mare o vengono crudelmente respinte alla frontiera da chi delle loro sofferenze e del loro bisogno di aiuto non gli importa nulla. Per queste sofferenze collettive così immani, come singoli non possiamo fare altro che pregare Dio, affinché esse abbiano fine al più presto.

Ma ci sono sofferenze di minori proporzioni, che ci riguardano da vicino e che perciò ci toccano in maniera diversa, ma altrettanto se non più dolorosamente. Si tratta dei casi di lutto e di malattia che possono colpire ciascuno di noi o dei nostri familiari o dei nostri amici; si tratta anche dei casi di miseria e di privazione, di disagio morale e materiale, di abbattimento e di sconforto in cui ognuno di noi può venirsi a trovare. Ebbene, proprio in questi casi tutti abbiamo bisogno più che mai di consolazione, quella consolazione che può avvenire solo nell’ambito di una comunità di credenti in Gesù Cristo perché proviene innanzi tutto da Dio che è “Padre misericordioso e Dio di ogni consolazione”.

È dunque nostro compito, come chiesa cristiana, come comunità di fratelli e sorelle in Cristo, praticare quello che possiamo chiamare “il ministero della consolazione”, in un tempo in cui abbonda l’indifferenza e persino il disprezzo nei confronti di chi ha bisogno di aiuto, di chi è oppresso dal dolore e dalla sofferenza, di chi si trova in condizioni disperate; non guardando solo alle nostre afflizioni o ai nostri bisogni, ma anche alle afflizioni e ai bisogni degli altri. Perciò “lo stesso Signore nostro Gesù Cristo e Dio nostro Padre che ci ha amati e ci ha dato per la sua grazia una consolazione eterna e una buona speranza, consoli i nostri cuori e ci confermi in ogni opera buona e in ogni buona parola”. Amen.

Renato Salvaggio


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